Gerusalemme Celeste e Inferno: splendida Bastia Mondovì!
‘Un unico grande riquadro collocato al centro della decorazione della parete destra della navata, su una superficie muraria ininterrotta grazie all’eliminazione per tamponamento delle due finestrelle visibili ancora all’esterno, pone a confronto i mondi ultraterreni in cui continuerà, dopo la morte, la vita dell’uomo: la beatitudine del Paradiso, l’orrore dell’Inferno. L’esemplificazione bastiese, se per qualità di esecuzione non eccelle rispetto ad analoghe rappresentazioni coeve presenti nel Basso Piemonte (Morozzo, San Michele Mondovì, Castelletto Stura, Boves per citare le più note) certamente supera tutte per estensione e monumentalità,
Antitetiche caratteristiche regolano le raffigurazioni. Sicurezza, ordine, opulenza, dominano le mura della Gerusalemme dei Beati, tanto quanto affanno, caos, miseria nel regno senza confini di Satana. Colori forti vivacizzano la moltitudine degli eletti, grigi e spenti sono quelli dell’Inferno. Contemplazione estativa, musica celestiale, partecipazione condivisa all’Incoronazione della Vergine, Signora del Cielo, entro dello statico evento; frenesia di bestiali torture in un silenzioso clamore di urla e ruggiti intorno alla immonda, tremenda presenza del Signore del Male, centro di movimentate azioni.
Il grande affresco deve essere letto come ai tempi della sua esecuzione, quando chi l’osservava capiva il messaggio che esso diffondeva. L’Inferno dunque. Vi si entra dal basso, cavalcando in vita uno (o più di uno) dei Sette Vizi Capitali, antitesi delle Sette Opere misericordiose. Questo prologo della rappresentazione infernale trova paralleli con esperienze coeve sia in zone di territorio limitrofe come in tutto l’arco alpino che nel XV secolo vive un’unitarietà artistica quale non si vide mai, conosciuta come ‘Gotico delle Alpi’. La dinamica figurazione dei comportamenti che conducono alla dannazione personalizza ed animalizza i Vizi associando umano e bestiale secondo una logica medievale assai diffusa e ne fa non una processione ma una cavalcata. Essa muove da sinistra verso destra allontanandosi dall’entrata del Paradiso, ma non liberamente: la schiavitù dell’uomo alla vita viziosa è rappresentata dalla catena alla quale i personaggi sono uniti per il collo.
Da sinistra a destra la sequenza è inversa alla formula mnemonica di Saligia; l’Accidia, ultima della fila e prima alla vista è un uomo abbandonato, quasi accasciato in groppa ad un asino ‘tardo, inerte, stolto’ come lo definisce il Novus Phisiologus; davanti a lui muove un orso, insidia le greggi, facile ad adombrarsi, su quale un giovane in preda all’Ira si caccia un pugnale nella gola; un gaudente beve vino da un’anfora e trasporta in spalla uno spiedo ben fornito, cavalca una volpe famelica, è la Gola; quarta, al centro della Cavalcata, una dama ben vestita indica, quasi senza vedere, chi la precede con Invidia, in groppa ad un animale identificabile con una scimmia di cui erano note le capacità di emulare, copiare le caratteristiche altrui: un’altra donna, la Lussuria, sopravanza mentre alza con la mano la veste a mostrare la gamba tornita, si rimira allo specchio e monta un caprone, depositario di ogni credenza di sfrenata lascivia; davanti alle due giovani cavalca una vecchia, magra, emaciata, in abiti laceri e consunti, una povera bisognosa se non fosse per la borsa gonfia di monete che mostra e ne fa l’emblema dell’Avarizia e giustifica la sua cavalcatura, un levriero, cane nobile da ostentazione; guida la cavalcata un re a spada sguainata in groppa al un leone che da simbolo di regalità diventa, come il suo cavaliere, emblema della Superbia. Un diavolo, orribile palafreniere, trascina il regale cavaliere e tutta l’incatenata sfilata nelle fauci aperte del mostro Leviatano, porta dell’Inferno.
Molto si è discusso sulle fonti ispiratrici per l’esempio di Bastia Mondovì. Non Dante, anche se ampiamente utilizzata la legge del contrappasso e se l’arruncigliamento in bella vista fa pensare i barattieri. Piuttosto è seguita quella serie di fondi disparate, note con il nome di Visiones Animarum, genere letterario che affonda le radici nell’esperienza classica della Discesa agli Inferi di Ulisse, poi di Enea. L’arruncigliamento nel caso bastiese, tenendo presente il gusto popolaresco, potrebbe derivare dal noto passo riguardante gli ingannatori della Visio Tungdali. Lucifero, intento a maciullare peccatori di vario genere, siede su due dannati ‘speciali’: i giudici e gli avvocati, le teste appoggiate sui libri della legge che tradirono. E’ chiaro il messaggio, superbia e tradimento sono i loro peccati che li accomunano a Lucifero, angelo traditore, per superbia, di Dio. L’ira è punita con il taglio della mano, la maldicenza con lo strappo della lingua, l’avarizia e l’usura comportano l’ingozzamento di oro fuso. ‘
Chiesa di San Fiorenzo Bastia Mondovì, Gerusalemme Celeste e Inferno